Il senso della unità nazionale – Nota della fondazione

Il senso della unità nazionale

17 marzo 2011

art87_tricolore al centro Nitti (1)

Una nota della Fondazione “Francesco Saverio Nitti” di impegno e di testimonianza al contributo culturale e civile della nuova e complessa battaglia per l’unità nazionale.

Melfi, 17 marzo 2011 – La Fondazione “Francesco Saverio Nitti” ripropone – nella giornata del 17 marzo 2011 – un brano cruciale della conferenza che il presidente Giorgio Napolitano ha tenuto nel febbraio dello scorso anno all’Accademia dei Lincei ai Roma per contribuire ad indirizzare il dibattito pubblico nel paese sul tema che caratterizza la missione stessa del Capo dello Stato, il senso della unità nazionale. Un brano senza un filo di retorica, così come senza retorica fu l’incipit di quel discorso per attaccare alcuni spunti dell’allora appena avviato dibattito, ovvero i “giudizi sommari e pregiudizi volgari su quel che fu nell’800 il formarsi dell’Italia come Stato unitario, e bilanci approssimativi e tendenziosi, di stampo liquidatorio, del lungo cammino percorso dopo il cruciale 17 marzo 1861”. Nella parte “costruens” – sia pure nella evidente estrema difficoltà politica, culturale ed economica del presente – di uno scenario in controtendenza, la Fondazione Nitti si riconosce integralmente. Ed esprime a nome dei suoi organi sociali e anche delle adesioni personali e della società civile che animano la sua componente non istituzionale (l’Associazione Nitti), la responsabile consapevolezza che qui sta il principale settore di impegno in cui essa è chiamata ad operare. E che oggi – 17 marzo 2011, giorno del terzo giubileo della nazione – essa può indicare nella chiarezza di intenti che i suoi soci fondatori hanno espresso sottoscrivendo con queste parole lo statuto costitutivo: “contribuire alla modernizzazione della società e delle istituzioni e alla prioritaria battaglia delle idee per consolidare democrazia, libertà ed equità sociale, con attenzione speciale alle tematiche e ai territori del Mezzogiorno d’Italia”.
Francesco Saverio Nitti nell’anno in cui l’Italia celebrò il primo cinquantenario della sua unità, il 1911, era ministro dell’Agricoltura, Industria e Commercio del quarto governo Giolitti. Un anno ancora carico di speranze per il paese che ancora operava nella pace e progettava prosperità, anche se l’Europa si predisponeva da lì a poco a una catastrofica guerra che costò cinque milioni di morti, di cui 750 mila italiani. Il suo modo in “controtendenza” , di riformatore e modernizzatore, di occuparsi di quelle celebrazioni, fu quello di partorire – e portare ad operatività – proprio quell’anno l’Istituto Nazionale delle Assicurazioni in una visione di nuovo patto tra pubblico e privato, tra istituzioni, società e mercato per promuovere nuove condizioni alle politiche sociali compatibili con i bisogni della gente e il rigore della finanza pubblica.
Agire dunque per progetti, avere rispetto della storia e della conoscenza, credere nella democrazia. La Fondazione Nitti ringrazia il Presidente della Repubblica per avere accompagnato con saggezza e fermezza la comunità nazionale nella discussione di pedagogia civile che oggi, 17 marzo, ha un passaggio importante, non la sua conclusione.  Dalla conferenza del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano “Verso il 150° dell’Italia Unita: tra riflessione storica e nuove ragioni di impegno condiviso” (Roma, Accademia dei Lincei, 12/02/2010) “Non posso non toccare il tema del più grave dei motivi di divisione e debolezza che hanno insidiato e insidiano la nostra unità nazionale. Mi riferisco, ovviamente, alla divaricazione e allo squilibrio tra Nord e Sud, alla condizione reale del Mezzogiorno. Anche le analisi più recenti hanno confermato quanto profondo resti, per molteplici aspetti, il divario tra le regioni del Centro-Nord e le regioni meridionali, al di là delle pur sensibili differenziazioni che tra queste ultime si sono prodotte. E oggi meritano forse una riflessione formule come quella, per lungo tempo circolata, della “unificazione economica” che avrebbe dovuto seguire e non seguì alla “unificazione politica” del paese ; s’impone un approccio meno schematico, più attento alle peculiarità che possono caratterizzare lo sviluppo nelle diverse parti del paese, e ai modi in cui se ne può perseguire l’integrazione riducendosi il divario tra i relativi ritmi di crescita. Si impone un approccio più attento a tutte le molteplici componenti di un aggravamento della questione meridionale che ha la sua espressione più evidente nel peso assunto dalla criminalità organizzata. E nell’allargare e approfondire l’analisi, si incontra il nodo di una crisi di rappresentanza e direzione politica nel Mezzogiorno che è stata fatale dinanzi alla prova dell’autogoverno regionale. E’ futile e fuorviante assumere questo stato di cose come prova che l’Italia non è unita e non può esserlo. Si deve comprendere che la condizione del Mezzogiorno pone il più preoccupante degli interrogativi per il futuro del paese nel suo complesso. L’affrontare nei suoi termini attuali la questione meridionale non è solo il maggiore dei doveri della collettività nazionale, per avere essa fatto della trasformazione e dello sviluppo del Mezzogiorno una delle missioni fondative dello Stato unitario ; ma è anche un impellente interesse comune, perché è lì una condizione e insieme un’occasione essenziale per garantire all’Italia un più alto ritmo di sviluppo e livello di competitività. E infine, per ardui che siano gli sforzi da compiere, non c’è alternativa al crescere insieme, di più e meglio insieme, Nord e Sud, essendo storicamente insostenibili e obbiettivamente inimmaginabili nell’Europa e nel mondo d’oggi prospettive separatiste o indipendentiste, e più semplicemente ipotesi di sviluppo autosufficiente di una parte soltanto, fosse anche la più avanzata economicamente, dell’Italia unita”.

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